La questione della “lesione dell’autodeterminazione terapeutica” è un tema molto dibattito, perché riguarda i limiti entro i quali la mancata assoluta consapevolezza del paziente gli conferisce il diritto al risarcimento in caso di conseguenze gravi sulla salute.
In altre parole si discute se stabilire se il consenso libero ed informato del paziente all’atto medico è un vero e proprio diritto fondamentale del cittadino o ha valenza solo sotto il profilo (formale) di liceità del trattamento.

Di recente la Corte di Cassazione (terza sezione) se ne è nuovamente occupata con l’ordinanza del 26/08/2020.

Il caso concreto

Il caso affrontato è stato questo: Una donna colpita da ictus cerebro-vascolare viene sottoposta ad esame angiografico carotideo-digitale dell’arco aortico con liquido di contrasto che provoca una ischemia miocardica acuta, causa di una grave emiparesi sinistra.

La paziente, ritenendo non essere stata preventivamente informata del rischio di una simile complicanza, ha agito contro il medico per omissione degli obblighi informativi.

Le ipotesi in cui la lesione all’autodeterminazione del paziente gli conferisce il diritto al risarcimento

La questione affrontata dalla Corte riguarda i pregiudizi, diversi da quelli alla salute, che possono derivare dalla lesione all’autodeterminazione.  Rilevano infatti due questioni distinte:

  • Da un lato l’esistenza di un pregiudizio: il paziente per attivare ed ottenere tutela risarcitoria deve dimostrare di avere patito una qualche conseguenza di carattere negativo, non essendo sufficiente la dimostrazione dell’avvenuta violazione dell’obbligo informativo;
  •  Dall’altro occorre provare che, in caso di corretta informazione il paziente non si sarebbe sottoposto ad intervento; tale dimostrazione è necessaria ogni qualvolta la richiesta riguardi un danno alla salute legato alle complicanze.